The Cure in concerto a Roma: quando il dark diventa un grande “Lullaby”

the-cure-concerto-roma-30-10-2016

Di anni ormai ne ha 57, ma la voce è sempre quella. Robert Smith ti rapisce per quasi tre ore di concerto. Ieri sera al Palalottomatica di Roma: oltre 30 ‘ninna nanne’ dei suoi ‘The Cure’, capolavoro riuscito di dark wave e post punk che ha dettato legge dalla seconda metà degli anni ’70 fino ai ’90. Tenero, gentile col pubblico e anche scherzoso, quel tanto che basta per confermare che con lui il dark assume sempre il volto di un peluche da coccolare.

Robert Smith scalda. Con lui il gotico diventa sempre rifugio per chi oltre ai Cure ama – o amava – perdersi negli incubi dei Joy Division o imbottirsi delle acidità di Siouxie and the Banshees. Mettici anche il tempo che è passato e il ricordo che si fa nostalgia: è un attimo e un concerto del leader dei Cure nel 2016 diventa un abbraccio confortante. Chi l’avrebbe mai detto?

Tutti i fans che ieri hanno riempito il Palalottomatica, certo. Esordio con ‘Shake dog shake’, subito dopo la splendida ‘Fascination Street’ e ‘A night like this’, pezzi noti da ‘Pictures of you’ a ‘Lullaby’ fino a ‘Boys don’t cry’ e ‘Close to me’ che vengono riservate per i bis finali: ben tre.

Ci sono i pannelli a far da scenografia: talvolta servono per portare in primo piano il faccione pallido con rossetto e kajal di Robert. Altre volte proiettano immagini di proteste e oppressione, migranti in mare e Mohammed Alì sul ring, guerre e fungo atomico. Oppure l’ombra di una ragazza che danza in kimono, a dire del fascino per l’oriente che ha rapito tanti 30-40 anni fa, da Smith a David Bowie, David Sylvian. Poi alla fine del primo bis quegli stessi pannelli ti prendono per mano e ti portano tra gli alberi, nella notte: ‘into the trees’ di ‘A forest’, uno dei brani più riusciti del concerto.

Robert Smith piace. Perché è uno di quelli che non si preoccupano di finire come Sean Penn del film ‘This must be the place’, ex rockstar in pensione, triste prigioniero del cerone e della cipria a 60 anni. Il leader dei Cure pure non molla gli strumenti del mestiere, è l’unico del gruppo a non aver abbandonato la band: non si preoccupa di risultare fuori sincrono, almeno fino a quando continuerà a riempire i palasport. Il tour del 2016 è lunghissimo, attraversa tutta l’Europa (Germania, Belgio, Olanda, Spagna, Francia…) per finire in madrepatria, la Gran Bretagna. Oltre 30 pezzi di un genere musicale, post-punk e dark, molto frequentato negli anni ‘70-80, ma che i Cure sono riusciti a personalizzare e anche a commercializzare di più, giocando con le note della tristezza. Con loro sono diventate tanti, brillanti, esempi di ‘Lullaby’.

© HuffingtonPost Italia

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