The Cure – Intervista

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“The Cure” esce dopo 4 anni di pausa ed è il primo disco che avete realizzato con la I Am Records. Pensi che la vostra musica sia stata in qualche modo influenzata da questo cambio di scenario?

Penso che l’input iniziale per la realizzazione del disco sia arrivato in gran parte da Ross Robinson (il produttore, ndr), in quanto individuo dalla personalità veramente intensa e fan entusiasta dei Cure. Mi ha letteralmente convinto del fatto che realizzare un disco dei Cure sarebbe stata un’idea migliore, piuttosto che un album solista… In effetti, mi ha fatto cambiare idea. Per quanto riguarda l’etichetta… Visto che appartiene alla Geffen, è composta di persone molto attive e interessate davvero alla musica, molto più di quanto lo siano state la Polydor o la Universal UK per i Cure negli ultimi due dischi. In ogni caso, siamo comunque parte del gruppo Universal, quindi la gente intorno a noi è essenzialmente la stessa: da quel punto di vista, non è che le cose siano state poi molto diverse. È più questione di quella singola persona, che è stata fondamentale. 

Sicuramente ogni album attraversa profondi cambiamenti nel corso della realizzazione. È stato il caso di “The Cure” o il risultato finale è coinciso con l’idea che avevi in mente in partenza?

Il sound che avevamo sviluppato lo scorso anno, quando abbiamo cominciato a registrare i demo per questo disco, era decisamente diverso: era molto più confuso, in realtà. Volevamo provare cose diverse, sperimentare, giocare con i loop. Ma alla fine siamo tornati all’idea originaria di registrare tutto in presa diretta. Siamo entrati in studio a dicembre dello scorso anno e per un mese abbiamo lavorato a 27 canzoni, ognuna delle quali è stata registrata dal vivo. In definitiva, il sound del disco riflette molto bene il sound che i Cure hanno quando si trovano sul palco. Pensa che ci sono soltanto tre sovraincisioni in tutto il disco! Da un certo punto di vista non è per niente un approccio sperimentale, ma d’altro canto il fatto di aver registrato in presa diretta, per noi è un esperimento ardito. 

Il disco si apre con “Lost”, che è sicuramente una delle canzoni più cupe e intense di tutto l’album. C’è una ragione particolare per cui hai deciso di inserire quel pezzo in apertura? Forse volevi in qualche modo stabilire senza compromessi l’atmosfera di “The Cure?

Non direi che l’atmosfera è totalmente cupa. Direi piuttosto che parte in un certo modo e si muove attraverso momenti differenti. La ragione per cui ho chiamato il disco “The Cure” è perché secondo me riflette molto bene tutte le cose che personalmente amo dei Cure. Ogni canzone contiene dei riferimenti a cose che abbiamo fatto in passato, quindi da un certo punto di vista direi che è un disco molto eterogeneo. È vero che inizia e finisce con toni molto cupi, ma una canzone come “Taking Off” è uno dei pezzi più felici che ho scritto negli ultimi 15 anni. Per quanto riguarda “Lost”, sapevo fin dall’inizio che sarebbe stato il brano di apertura. È stato uno dei primi pezzi che ho scritto per questo album, da subito sono stato anche consapevole che sarebbe stata una canzone pefetta per aprire i concerti. È IL pezzo d’apertura per eccellenza. 

Un altro elemento molto evidente di queste nuove canzoni, è che la maggior parte sono basate su riff di chitarra potenti e dark – penso specialmente a brani come “Labyrinth” e “Us Or Them”. È una scelta cosciente che ti ha spinto in questa direzione, è stata l’influenza di Ross Robinson o è avvenuto in modo naturale?

Non è stato solo per via di Ross. Voglio dire, se Ross dovesse scegliere fra una tastiera e una chitarra, sceglierebbe senza dubbio una chitarra! Ma il fatto è che nei Cure ci sono due chitarristi e un solo tastierista, quindi le chitarre avranno sempre la meglio sulle tastiere. Forse l’unica volta in cui non è accaduto, è stato in “Disintegration”. Io suono la chitarra e sono coinvolto più di ogni altro membro della band nel mix finale del disco, quindi la mia attitudine porterà sempre a far emergere le chitarre. In questo disco, le tastiere hanno un ruolo importante perché fanno parte del tessuto di ogni canzone e delle melodie, ma personalmente non amo le tastiere troppo imponenti. Come ho detto, “Disintegration” è il solo disco in cui le tastiere erano in primo piano e credo che in quel caso fosse la scelta perfetta, ma generalmente non le amo molto. Altre band le usano moltissimo, ma non noi. 

Un altro elemento che mi è sembrato importante, è l’idea dello scorrere del tempo – espressa benissimo nel video di “The End Of The World” – ma anche estremamente palpabile in una canzone come “Before Three”. Questo tema rappresenta uno spunto di riflessione profonda per te? È qualcosa a cui pensi molto spesso come uomo e come musicista?

Non ci penso spessissimo, in realtà. È senza dubbio un concetto universale, un tema cui tendo sempre a ritornare, è un pensiero inevitabile. Chiunque canti le canzoni che scrive, deve aver trovato l’ispirazione in primo luogo. Per me, l’ispirazione viene – prima di tutto – dalla riflessione, una riflessione che sia il più attiva possibile e che sicuramente include il senso del tempo che scorre. Se mi guardo indietro, ci sono veramente poche canzoni che parlano di qualcosa che verrà dopo. Forse, ora che ci penso, non ho mai scritto una canzone che parla del futuro, perché il futuro per me non ha alcun contenuto emotivo, dal momento che non ho idea di come sarà il mio futuro, lo scoprirò solo quando succederà. Il momento in cui intellettualmente mi avvicino di più al futuro è il momento in cui penso alla scelta che sto facendo e che potrebbe essere giusta o sbagliata. Spesso si arriva a un punto in cui realizzi che la scelta che stai per compiere è fondamentale, se decidi una cosa prendi una strada, se decidi l’opposto ne prendi un’altra. Ma il punto è che sono convinto che il fatto stesso di riflettere, ricordare e guardarsi indietro sia l’essenza stessa della poesia dei Cure. Per me, è la cosa più reale che esiste. Mi sento davvero motivato a scrivere quando vivo questi momenti di riflessione. Per questo, in generale, le mie canzoni sono piuttosto malinconiche, ma a volte non lo sono, come ad esempio “Taking Off” o “(I Don’t Know What’s Going) On”. Questi due pezzi riflettono la mia massima spinta nel guardare avanti. 

Tornando al video del singolo, cosa ci puoi raccontare della collaborazione con Floria Sigismondi, che per questa volta ha sostituito il vostro collaboratore di sempre, Tim Pope?

È stata in tutto e per tutto un’idea di Floria, è stata la prima volta dai tempi di “Charlotte Sometimes” che l’idea non è partita da me. Per questo video, ho avuto difficoltà a comprendere me stesso. Se fossi stato io a realizzare il clip, l’avrei fatto in maniera completamente diversa. Invece, questo è indubbiamente il video di Floria, la sua personale visione dei Cure. La casa rappresenta la tensione che esprimo nella canzone, ma la cosa strana è che ha interpretato il testo in modo veramente particolare, perché ovviamente non esiste un solo modo per interpretare una canzone. Quando nel pezzo dico ‘I couldn’t love you more’, volevo intendere ‘non posso amarti più di così, perché questo amore è tutto per me, è la cosa più grande e totalizzante che esiste’, ma lei l’ha interpretato nell’accezione opposta: ‘non posso amarti più, perché ormai è finita’. Quindi ha dato al brano una sfumatura più cupa. In ogni caso, per la prima volta, non sono stato coinvolto nella lavorazione del video. Normalmente supervisiono persino il montaggio, ma non questa volta. L’ho visto quando ormai era finito, è stato uno shock! 

MTV sta preparando per i prossimi mesi una chart dei 100 migliori videoclip mai realizzati. Nella lista è incluso anche “Close To Me”. Qual è la tua impressione su quel video, ritenuto forse il più rappresentativo dei Cure?

Quello è stato uno dei primi video che abbiamo realizzato insieme a Tim Pope. Ricordo che all’inizio mi chiese quale fosse il vero significato della canzone e io gli descrissi la mia sensazione di claustrofobia con l’immagine di me e degli altri membri della band chiusi dentro a questo armadio sull’orlo di un precipizio. Era un’immagine che avevo in testa, totalmente aleatoria. Fu la prima cosa che mi venne in mente, un’immagine totalmente stupida, tipo ‘Alice Nel Paese Delle Meraviglie’. Lui la prese letteralmente e realizzò il video basandosi su di essa. È stato decisamente il video più scomodo che ho interpretato con la band. Lo trovo bello, ma sono convinto che ci siano video migliori di quello nella nostra carriera, ad esempio “Never Enough” o “Wrong Numbers”. Il fatto è che quando è uscito “Wrong Numbers”, i Cure stavano vivendo uno di quei momenti di scarsa popolarità. Probabilmente se lo facessimo ora, qualcuno griderebbe al genio. Mi sono reso conto molto tempo fa che ogni cosa che facciamo e il modo in cui viene accolta, non dipende tanto dal suo valore, quanto da come veniamo percepiti come gruppo in quel dato momento. In ogni caso, “Close To Me” rimane un video memorabile, come anche “Just Like Heaven”. 

Sicuramente sei consapevole dell’influenza che i Cure hanno esercitato – e continuano a esercitare – su generazioni diverse di band. Specialmente negli ultimi due o tre anni, l’impronta dei Cure è stata determinante in band osannate dalla critica, come The Rapture, Interpol, !!!, TV On The Radio, Liars e molte altre. Come vivi questa sorta di ‘responsabilità sonora’?

Quelle che hai nominato, sono alcune delle band che appartengono a un territorio considerevole e veramente interessante che i media hanno avvicinato ai Cure perché loro stesse ci hanno citato fra le loro influenze. Per noi è stata sicuramente una cosa positiva, perché ha sottolineato il fatto che esistiamo ancora. Ho sempre cercato di stare molto attento alle band più interessanti e agli altri artisti che ho incontrato nel corso degli anni. Molti gruppi ci hanno ringraziato per averli ispirati nel loro cammino musicale e questa cosa mi riempie di gioia, perché mi fa sentire molto più soddisfatto di quello che faccio. Per me è molto più importante se il cantante di una band che mi piace viene a salutarmi, piuttosto che un giornalista. È una cosa che in realtà mi porto dietro dagli anni ’80, ma è vero che in questo momento specifico c’è un vasto gruppo di band interessanti che hanno citato i Cure. Per me è ottimo e non posso che ringraziarle tutte. 

Il tuo interesse verso le giovani band è noto, tanto che con i Cure hai fondato un festival – il Curiosa – che riunisce sul vostro stesso palco alcuni dei gruppi più interessanti della scena attuale. Cosa ci puoi dire di questo progetto?

L’anno scorso suonammo in un festival in California, nel cui cartellone – oltre a tante altre band e a noi – c’erano i Rapture e gli Interpol. Li apprezzai tantissimo e pensai che sarebbe stato bello fare qualcosa insieme, perché sapevo che ci avrebbe aiutato a ritrovare l’entusiasmo di fronte a qualcosa di nuovo. Proposi loro questa cosa e accettarono. Poi contattai i Mogwai, che sono la mia band preferita – se potessi vedere un concerto dei Mogwai ogni giorno per sei settimane, sarei la persona più felice di questa terra – e anche loro accettarono. Dopo un po’ di tempo, altre band sentirono parlare di questo progetto e si misero in contatto con noi per potervi partecipare. Così allargammo il progetto per poter includere tutti e trasformammo la cosa in un festival con 10 band. Ma la cosa fantastica è che ho scelto personalmente ogni gruppo, dunque passerò l’estate a vedere ogni giorno i concerti delle band che più amo. La cosa che trovo più interessante del progetto è che noi, come band, diventeramo parte di un’esperienza più vasta: la gente verrà per il cartellone, perché ogni singola band – i Muse, i Cursive, i Thursday e tutti gli altri – merita già di per sé dal vivo. Quindi dover in un certo senso competere con questi gruppi sarà davvero stimolante per noi, sicuramente ci porteranno a suonare meglio. E spero anche che questa vicinanza possa portare a qualche collaborazione in futuro. È un’ottima cosa, avevo il desiderio di fare qualcosa di diverso quest’estate con i Cure, qualcosa che mi potesse proiettare in un’era diversa e che mi facesse percepire un contesto differente intorno.

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June 2004

© MTV Italia

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